top of page

Gli ibridi organizzativi, quale futuro per il non profit?


Sono trascorsi più di Sessant’anni da quando l’on. De Gasperi visitò la città di Matera e decise di varare una legge speciale che cambiò la storia dei famosi Sassi. Definiti la “vergogna nazionale” negli anni 50, sono poi diventati patrimonio dell’UNESCO nel 1993, ed oggi eletti Capitale della Cultura 2019. Il merito di quest’ultimo successo è sicuramente dei materani che hanno dimostrato di essere molto attivi sul territorio e sensibili ai temi dell’innovazione tecnologica, culturale e sociale.

Matera oggi è un laboratorio a cielo aperto in cui si sperimentano nuovi modelli economici che hanno un notevole impatto sociale perché contribuiscono a realizzare una crescita inclusiva ed a generare fiducia. Un esempio concreto di quanto sto dicendo è il progetto “Energia solidale Plus” che è stato realizzato nella Città dei Sassi dal consorzio di cooperative sociali “La città essenziale


L’obiettivo è quello di utilizzare le ecotecnologie per due buoni motivi: proteggere l’ambiente; ed utilizzare il risparmio sulla bolletta per finanziare i servizi di welfare.

Il consorzio si serve di una impresa for profit per l’installazione di pannelli fotovoltaici da 3 kw sui tetti delle case private. Gli accordi prevedono che una parte della spesa per i lavori venga data alle cooperative sociali per il servizio di assistenza domiciliare gratuita a disabili, anziani o minori. Oltre a questo, il consorzio, si occupa dell’inserimento lavorativo delle persone “svantaggiate”, così come previsto dalla legge.


Per realizzare questo progetto è necessario un nuovo modello organizzativo che oggi è al centro del dibattito culturale e politico, animando la discussione sulla Riforma del Terzo Settore, e che è definito: “ibrido organizzativo”


Cosa è un ibrido organizzativo?

Gli ibridi organizzativi si posizionano nello spazio che si sta creando rispetto al ruolo dell'impresa sociale. Dalle recenti ricerche (EURICSE, IRIS NETWORK, AICCON) emerge che è aumentata la permeabilità tra ciò che è profit e ciò che è non profit.

Il ragionamento che sta dietro la Riforma del Terzo Settore, è quello di definire un’impresa non a partire dal presupposto giuridico ma dalla qualità dell’attività che svolge.


In Italia focalizziamo tutta l’attenzione sull’impianto giuridico perché se sei un’impresa non profit basi tutto sulla non distribuzione del profitto; altrimenti puoi vantarti, come scriveva Luigi Einaudi, “di essere no profit e meritare privilegi negati agli enti afflitti dalla lebbra del profitto

Questo muro vede le sue fondamenta nel codice civile e poi è stato gradualmente innalzato con le leggi successive ma non tiene conto della missione delle organizzazioni.


La missione viene definita “sociale” così come intesa dalla 328/2000 ma, è evidente, che non possa limitarsi solo ad identificarsi con i servizi di welfare ma debba riguardare tutta la società.

Adriano Olivetti diceva: “L’idea fondamentale della nuova società è di creare un comune interesse morale e materiale fra gli uomini che svolgono la loro vita sociale ed economica in un conveniente spazio geografico determinato dalla natura e dalla storia” chiamato “comunità concreta” caratterizzata dai contatti sociali diretti tra le persone.

L’ibrido, come nel caso di Matera, è radicato nella comunità e crea un modello economico sostenibile.


Come la storia ci insegna anche l’epilogo del muro tra profit e non profit è il suo abbattimento, per lasciare l’uomo imprenditore, libero di agire senza i vincoli dei legislatori.

Questa, per Einaudi, è “la condizione essenziale per conservare all’organismo economico un grado di elasticità corrispondente alle esigenze e alle urgenze delle mutazioni richieste dall’inventiva umana e dalla necessità di provvedere ai bisogni continuamente crescenti di una migliore vita umana”.


Il discrimine diventerà sempre più la finalità “social” dell’imprenditore che prevederà la redistribuzione degli utili.


L’ibridazione può avere 2 direzioni: le imprese sociali non profit acquisiscono meccanismi e modalità profit; oppure le imprese profit che diventano sociali e non profit perché acquisiscono i meccanismi dell’altra.


Secondo il Gruppo Cooperativo CGM solo se si sposa questo nuovo modello si può uscire dalla dipendenza dal pubblico, investire sull’innovazione sociale ed evitare la morte del Terzo Settore.


Il non profit morirà?

Sarebbe più giusto dire che cambierà veste, sicuramente, come ricorda Chiara Saraceno, bisognerà mettere ordine nel magma del non profit e selezionare meglio le organizzazioni che ne devono fare parte. Per Giovanni Moro, che recentemente ha scritto un libro sul tema dal titolo “Contro il non profit” edito da Laterza, è importante porsi la domanda: “Non profit per chi?


In Italia non morirà quella parte di natura più strettamente filantropica, che pur non registrando il volume della filantropia economica statunitense (330 mld di dollari nel 2014, pari a 2,5% del PIL americano, sempre in aumento), le statistiche ci dicono che donazioni e volontariato sono sempre in crescita.


Questi due elementi esistono e vivono di vita propria. Nel nostro Paese gran parte delle associazioni sono autoproduttive e nascono per soddisfare le passioni di persone (i soci) che hanno bisogno di condividerle e che altrimenti non saprebbero come fare.


Oggi potremmo dire che queste componenti alimentano il NON PROFIT VERO che acquisirà sempre più una dimensione filantropica e non economica.


Concludiamo col dire che, nel futuro, le divisioni rimarranno ma riguarderanno le finalità dell’impresa: una finalità di natura social contrapposta ad una finalità di natura filantropica.



Chi sono
Mathia Germanà
Siti amici
logo_Argomenti_2000.png
bottom of page