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L’importanza di chiamarsi Terzo settore


Che cos’è il Terzo settore? È qualcosa di completamente diverso dal settore terziario. È il terzo attore della politica sociale e si colloca dopo lo Stato (il primo settore) e il Mercato (il secondo settore), non in ordine di importanza, ma di apparizione nel sistema di welfare. Il Terzo settore è come Arlecchino: povero rispetto ai suoi due compagni di scuola, con un vestito fatto da tanti pezzi di stoffa colorata, uno diverso dall’altro, e portati dai suoi amici, spinti da un moto di solidarietà. In base al colore che si vuole mettere in evidenza viene denominato in modi differenti: non profit, filantropico, informale, indipendente, volontariato sociale, privato sociale, economia civile. Come direbbe Giulietta parlando del nome di Romeo: “Che cos’è un nome? La rosa avrebbe lo stesso profumo anche se la chiamassimo in un altro modo”. Ecco che spesso queste diverse accezioni vengono utilizzate come sinonimi. Quello che ci interessa è che il Terzo settore produce dei servizi che riempiono i vacuum degli altri attori e stimola quelle realtà che operano nell’interesse generale. In Italia le persone coinvolte nel terziario sociale sono meno di tre milioni, il 72% sono donne ed operano in 4 aree di attività: 1. cultura, sport, ricreazione e ambiente, 2. Istruzione e ricerca, 3. Sanità, 4. Assistenza sociale. “Con un po’ di fortuna ma soprattutto molta virtù - secondo Ferrera è possibile - dare avvio al secondo miracolo economico”. Il Governo, infatti, con la riforma del Terzo settore vuole puntare molto sul suo potenziale di crescita attraverso apposite deleghe e misure di sostegno e di riordino del sistema. Ben salda la virtù della speranza, apprezzabile l’audacia nel proporre una riforma, ora aspettiamo il proverbiale aiuto della fortuna.

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